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"Tutto quello che non coltivi con cura, muore." A partire dalla parola. Ha inizio da qui il viaggio in una realtà quotidiana arrogante perché sorda, violenta perché incapace di ascoltare, capire, pensare. In un deserto aspro e ammutolito, non si può che diventare esuli senza alcun salvacondotto, fuori dalla storia perché fuori dalle nuove regole. Si diventa solitari silenziati, tra macerie di cose e sentimenti e parole; ci si inabissa in quel silenzio duro e senza qualità per un tempo di apnea lunghissimo. Fino a che il dolore e l'ira, il pianto trattenuto, la vergogna davanti allo scandalo e la solitudine divengono ricerca di un principio superiore, di un dio indifferente o lontano o, peggio, assente. Lamentazione e denuncia diventano preghiera, dura insolente ricattatoria tenera e sempre indocile. La passione civile, l'imperativo etico e morale presiedono questo poema in frammenti, in un racconto che si spezza "tra gengive e palato" per l'amore che presiede. In una ricerca linguistica costante, che va dai dantismi alle commistioni di gerghi, dai linguaggi settoriali ai dialettismi, l'autrice fa di questo viaggio poetico un metafora della poesia stessa. Le quattro stazioni del viaggio sono una via crucis laica del viandante odierno, alla ricerca di una consapevolezza e assunzione di responsabilità individuale. Soltanto così, tra singoli e individui, ci si riconosce e ci si ritrova.